giovedì 30 aprile 2009

Come bere un bicchier d'acqua

Ormai non ci speravo neanche più.
Mi sembra tutto un sogno.
Un sogno che nella mia mente ho rivisto mille volte.
Un brutto sogno che dura ormai da cinque anni.
Non esiste una sola dannatissima scusa che possa giustificare il mio errore.
Io non vengo da una famiglia povera, avevo un lavoro che mi dava da vivere.
L'unico motivo per cui l'ho fatto è perchè mi andava.
E perchè un passo dopo l'altro si può compiere un lungo cammino.
Specialmente se la strada percorsa è quella in discesa che ti porta verso la perdizione.
Sono nato in Olanda trentaquattro anni fa, ho avuto un'infanzia felice e ho incominciato a lavorare quando avevo vent'anni.
Lavoravo per mio zio, che in pochi anni di duro lavoro aveva messo in piedi un colosso nel campo del lavoro interinale.
Lo adoravo perchè si cambiava spesso occupazione.
Per due mesi mi capitò di lavorare in una serra che coltivava tulipani (sembra quasi uno scherzo, non trovate che questa cosa, la serra di tulipani, sia così maledettamente olandese?) e fu proprio li che conobbi Alain.
Alain era mezzo olandese e mezzo spagnolo e conosceva tutti i segreti della coltivazione in ambiente chiuso.
Una notte finimmo a casa mia completamente ubriachi alle tre di notte, a parlare di donne e a sfondarci di canne.
E fu li che ci venne l'idea.
Piantare sul mio terrazzo una dozzina di piantine di maria, una cosa che da noi in Olanda più o meno equivale ad avere una piantina di basilico sul davanzale da voi in Italia.
Per farla breve le piantine crebbero una bellezza e dopo circa tre mesi io e Alain avevamo un paio di chili di erba di prima categoria.
Ce ne fumammo la metà e l'altra metà la rivendemmo ad un amico che aveva un coffee shop.
A tremilacinquecento euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Siccome l'autunno era alle porte decidemmo di adibire una stanza del mio appartamento a serra.
Mettemmo un telo di plastica sul pavimento e la riempimmo di terra.
Montammo lampade ad alta luminosità e seminammo un centinaio di semi.
Questa volta optammo per l'AK47.
E' un tipo di seme speciale, si chiama così perchè passa dal seme alla pianta adulta e pronta al raccolto in soli 47 giorni.
Dopo circa due mesi ci ritrovammo con circa una dozzina di chili di erba di prima categoria.
Alain aveva il pollice verde.
Ce ne fumammo un chilo e rivendemmo gli altri undici un po' qua un po' la.
Totale trentamila euro in due mesi.
Anzi ventinove, perchè la bolletta della luce 'sto giro fu una mazzata da mille euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Mentre le piantine della terza semina stavano già crescendo rigogliose mi capitò che un tipo a cui stavo vendendo un chilo di erba mi chiedesse se poteva pagarlo con della cocaina. Il rapporto di cambio sarebbe stato uno a otto. Centoventicinque grammi di coca per un chilo d'erba. Non ero interessato, non sapevo a chi venderla e quindi rifiutai. Meglio un bel mucchietto di banconote da venti. Il giorno dopo però un "cliente" mi chiese se avevo altro da vendere, a parte l'erba.
Non so che cosa mi spinse, ma feci la domanda che non va fatta.
"Quanto sei disposto a pagarla?"
"Se è pura posso arrivare a cinquanta al grammo" rispose
Richiamai il mio contatto e comprai per venticinque qualcosa che dopo due ore avevo rivenduto a cinquanta.
Questo qualcosa era un sacchettino da mezzo chilo e io avevo fatto dodicimila euro con due telefonate.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce

Dopo due mesi, svariate telefonate fatte e qualche sacchettino passato di mano ero su un aereo diretto in Venezuela.
Una volta atterrato ci misi tre giorni a trovare il contatto.
Comprai tre chili a tremila euro l'uno, li misi nel doppiofondo di una valigia e tornai a casa.
Rivendetti il tutto per settantacinquemila euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Sei mesi dopo "importavo" circa dieci chili al mese, standomene comodamente spaparanzato sul divano di casa.
Il rischio del viaggio lo facevo prendere a qualcun altro.
Mi costava un extra mille al chilo ma vuoi mettere la comodità?
Mi ero ricordato del mio vecchio amico Peter, compagno di liceo che lavorava all'aeroporto di Schipol a scaricare valigie per dieci euro all'ora e l'avevo coinvolto nell'attività.
Lui era sempre stato un tipo senza pretese, di quelli che si lasciano morire senza aver mai combinato nulla.
La valigia arrivava e lui la prendeva prima di far dogana.
La riconosceva perchè da entrambi i lati c'era un adesivo giallo con il logo dello smile.
Io la ritiravo la sera quando Peter tornava dal lavoro e gli allungavo un paio di millini.
Ci facevamo insieme una sniffatina e via in consegna.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Me ne sto sul bordo di una piscina nella villa del mio fornitore a Caracas.
Sono qui da solo quattro giorni, ma ho già voglia di tornare a casa.
Dopodomani mia figlia Jennie compie tre anni ed al suo compleanno non posso proprio mancare.
La mia mente è appannata, non sono riuscito a dormire molto negli ultimi giorni.
Continuo a pensare all'ultima spedizione, quattro valigie per un totale di cinquantacinque chili.
Paco mi dice che erano state regolarmente imbarcate, ma a Schipol non era arrivato niente.
Puff, sparite nel nulla!
Non penso sia stato Peter, non sarebbe capace di una cosa del genere.
O forse si?
E naturalmente la perdita e' solo per me.
Una botta da centosessantacinque bigliettoni.
Ora non mi è rimasto granchè, non chiedetemi dove li ho spesi.
Ormai devo far passare attraverso il mio naso almeno quattro grammi di coca al giorno ed il cervello mi sta andando in pappa.
La metà dei miei clienti mi deve soldi.
Alcuni di questi mi devono tanti soldi.
Potrei scrivere un manuale delle scuse che trovano per non pagarmi.
Uno di loro si è pure presentato con la compagna e mi ha detto:
"Non ho da pagarti, ma se vuoi prendi lei."
Non ho neanche risposto, li ho buttati entrambi fuori.
Voglio tornare a casa e voglio smettere con questa vita.
Voglio tornare a coltivare tulipani nella serra di Alain, che mi ha mollato quasi subito, quando ha capito quali intenzioni avevo.
Questa sarà la mia ultima volta.
Questi quindici chili li porto a casa io.
Così questa volta niente giochi di prestigio.
Vado in agenzia e prenoto il biglietto aereo, usando il mio spagnolo stentato.
Il volo diretto per Amsterdam è pieno.
Ne scelgo uno che parte in serata.
Stopover a Milano.
Due ore all'aeroporto Malpensa in attesa della coincidenza che mi porti a casa.
L'importante è che la valigia venga spedita direttamente in Olanda.
Al resto ci pensa Peter.
Non può essere stato lui.
Chiedo alla sorridente operatrice se il bagaglio verrà spedito direttamente o dovrò ritirarlo a Milano.
Lei mi guarda con aria interrogativa.
Non sono sicuro di averlo detto correttamente e per cui ripeto la frase in uno spagnolo che sa più di Leerdammer che di paella.
Lei fa una telefonata, parla veloce e poi mi fa di si con la testa.
La valigia va diretta a casa.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
O quasi.
Avanti veloce, ma solo un po'.

Arrivo a Malpensa la mattina dopo e tutto va storto.
Sudo come se fossi in sauna e mi tremano le mani.
Sono tredici ore che non mi faccio una striscia ed il cervello mi sta esplodendo.
Lo sento bussare alle pareti del mio cranio e chiedermi un po' di sollievo.
Vedo le crepe nel pavimento e cerco di non camminarci sopra per paura di caderci dentro.
Anche se sono a malapena due millimetri.
Paranoie allucinatorie.
Penso ad Alain ed ai tulipani e la cosa mi calma un po'.
Domani lo chiamo, giuro.
Guardo il tapis roulant girare ed aspetto la mia valigia.
La tipa dell'agenzia sarà stata pure carina, ma di sicuro non precisa.
La mia valigia la devo sdoganare qui.
Altro che direttamente in Olanda.
Meglio, forse.
Così non saprò mai se è stato Peter.
Ogni tanto guardo i due omini in fondo vestiti di grigio.
Hanno dei pantaloni buffi, con una strana striscia gialla sul lato dei pantaloni e lo sguardo da topo.
Ogni tanto fermano qualcuno e gli fanno aprire i bagagli.
I prescelti hannno quasi tutti tratti spiccatamente sudamericani.
Io sono alto uno e novanta, biondo e con la classica faccia da olandese buono.
Chi vuoi che mi fermi?
Arriva la mia valigia, la prendo e mi avvio verso di loro.
Sorrido.
Mi sembra che mi guardino, ma forse la mia è solo paranoia.
Tiro dritto verso l'uscita e sono quasi passato quando uno dei due allunga una mano e mi ferma.
Apro la valigia e svuoto il contenuto sul tavolo di fronte a loro.
Biancheria sporca, il mio necessaire, un paio di scarpe da ginnastica.
Guardano annoiati e mi fanno segno che è tutto a posto.
Scatto nervoso verso la valigia che ho appoggiato per terra ma quello coi baffi mi precede.
La solleva prima di me.
O meglio cerca di sollevarla.
Una valigia vuota che pesa diciotto chili non si è mai vista e lui corruga la fronte.
In tre secondi il mondo mi crolla addosso.
Vengo arrestato e mentre mi mettono le manette penso a mia figlia ed al suo compleanno.
Dopo sei mesi vengo condannato a cinque anni e otto mesi per traffico internazionale di stupefacenti.
Nella mia valigia il giudice dice che sono stati rinvenuti 4 chili di cocaina purissima.
Dove siano finiti gli altri undici non me lo chiedete.
Non lo voglio sapere.
Ripenso al baffetto con lo sguardo da topo.
E per fortuna che è andata così, se avessi subito un processo per quindici chili probabilmente avrei preso dieci anni.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.
Molto veloce.

Sono passati quattro anni e tre mesi ed eccomi qui, alla mia prima licenza premio.
I primi due giorni da uomo libero.
Stanotte per la prima volta dopo quattro anni dormirò in città, in una casa di proprietà dello stato.
Stanotte per la prima volta dopo quattro anni dormirò senza che un secondino mi svegli ogni tre ore per il controllo di una cella.
Anche se non è quasi mai la mia, fa un casino tale che non svegliarsi è impossibile.
La felicità sta nelle piccole cose.
Tipo dormire ininterrottamente per più di tre ore di fila.
Sono quelle cose che dai per scontate fino a quando non ti vengono tolte.
Ma prima di rientrare a casa devo fare una cosa.
Una cosa che in questi anni mi è mancata più dell'aria che respiro.
Vicino alla mia casa c'è un nuovo fabbricato con una scritta gialla.
Piscina comunale.
Sono cinque anni che non nuoto.
Cinque anni che non provo la fantastica sensazione di galleggiare in un silenzio ovattato.
La voglia di un tuffo mi prende alla gola.
Si, la prima cosa che faccio da uomo libero è proprio una bella nuotata.
Splash!
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua
Fermo immagine.