mercoledì 28 aprile 2010

My immortal

Sentivo il vento tra i capelli.
Sentivo il rumore della terra sotto i sandali.
Stringevo in mano i lacci, soppesando il peso della pietra per calibrare il tiro.
Lo vedevo enorme, davanti a me, lucido di sudore e dai muscoli frementi.
Non avrei saputo dire se il suo sguardo era più arrabbiato o divertito.
Arrabbiato del fatto che un ragazzino così gracile, poco più di un bambino, lo stesse sfidando o divertito dalla rapidità preannunciata del duello.
Mi avrebbe falciato in meno di quattro secondi.
Forse in meno di tre.
Io non tremavo.
Ero sicuro della mia fine, non avevo nulla da perdere.
Per quello la mia mano fu ferma.
Cominciai a roteare il laccio, a sentire la pietra che prendeva velocità.
Immaginai la traiettoria, l'avrebbe sicuramente schivata e mi sarebbe piombato addosso, tagliandomi in due come un giunco.
Ma io avevo già vinto la mia battaglia, ero stato il solo ad accettare la sfida.
Nessuno dei miei compagni aveva osato.
Un corvo volò su di noi e gracchiò nel silenzio.
Egli lo guardò e mi perse di vista.
Solo per un momento.
Sentii il laccio fischiare nelle mie orecchie, vidi il tempo fermarsi e la pietra partire.
Solo in quell'attimo capii che era spacciato, che quel secondo di distrazione gli sarebbe costato la vita.
La pietra lo colpì in mezzo alla fronte ed andò giù come un macigno.
Cedette di schianto e non si rialzò più, scosso solo da un leggero tremito.
Ed allora seppi che ero diventato immortale, che un solo momento può fare la differenza.
Ma oltre alla fortuna quello che conta è saper fare un passo avanti.
E capire che il drago si affronta ridendo.

lunedì 15 marzo 2010

Amaricante

Da quando era andato a vivere da solo le partite di calcio le guardava al bar.
Si era lasciato dietro tutto quanto, compresa la schedina di sky.
Andava a vederle al bar dietro casa, un bar che a pensarci bene forse non esisteva neanche.
Si chiamava New for you, già il nome era improbabile, quasi frutto di fantasie romanzesche.
Quando ci entrava gli sembrava di tornare indietro di trent'anni.
Soffitto alto e scaffali che ricoprivano interamente le pareti.
Erano pieni di bottiglie, ma non erano bottiglie qualunque.
Erano tutti liquori degli anni '70.
Coperte dalle immancabili due dita di polvere.
Stock 84, Cynar, Petrus c'era perfino il famoso Kambusa One, che aveva la pubblicità dove una canzoncina tormentone lo definiva l'amaricante.
Kambusa one, l'amaricante.....
Non aveva mai capito cosa volesse dire.
Ai tempi google mica c'era.
E adesso preferiva non svelarsi il mistero, se lo sarebbe portato nella tomba.
Amaricante sapeva di america e questo gli bastava.
Se sapeva di america doveva essere per forza qualcosa di buono.
O se non altro di grande, che a pensar bene è già quasi buono.
Quel martedì l'Inter avrebbe giocato con il Chelsea e lui, che interista non era, non aveva ancora deciso se tifare pro o tifare contro.
Ma di sicuro l'avrebbe vista al new for you.
Il pubblico era più che in tema con il bar.
Un pubblico fine anni settanta.
C'era anche il bambino decenne che fa finta di essere interessato, ma in realtà gioca con la macchinina e grida goooool anche quando a segnare è la squadra avversaria, attirandosi gli sguardi fulminanti degli altri spettatori e perfino del padre, che in quel momento, per un fuggevole istante, lo odia.
O meglio odia il fatto che il sangue del suo sangue, il frutto di così tanti sacrifici non lo ripaghi nemmeno con un minimo di partecipazione al dramma.
Alla tragedia di perdere questa partita, di cui tra due mesi nessuno si ricorderà più, ma che ora sembra così importante vincere.

Invitò al bar anche il suo amico Ben, che interista non era, e con cui si sarebbe di sicuro fatto due risate.
Perchè in ultima analisi era quello uno dei pochi momenti veri della vita.
Guardarsi una partita al bar con un amico, magari tifando anche un po'contro, ma di sicuro senza doversi preoccupare di nulla, senza desiderare di essere in nessun altro posto.

Ma Ben declinò, doveva stare a casa con la moglie ed il figlio neonato.
A Ben uscire, anche per andare a guardare una innocente partita e a bersi una innocente birra sembrava quasi un adulterio.
Si era calato nel proprio matrimonio come una suora entra in un convento di clausura,credendo che la propria infelicità avrebbe fatto la felicità della persona amata.
Sì, perchè a Ben di andare a vedere la partita al bar e di bersi una birra strabuzzando gli occhi al goal in contropiede del Chelsea andava parecchio.
Eccome.
Ma aveva paura di renderla infelice.
Aveva paura che lei pensasse che lui non la amava più, che qualcosa era cambiato. Che ormai il loro rapporto avesse scavallato e fosse avviato verso un lento e inesorabile declino.
E come ogni suora di clausura non si chiedeva se veramente al proprio Dio facesse piacere che qualcuno passasse la propria intera esistenza privandosi dei più elementari desideri.
Tipo quello di guardare Inter-Chelsea.
Non avvertiva il contrasto tra un Dio infinitamente buono e la spietatezza del gioire di una simile condizione imposta.
Semplicemente credeva di far bene, credeva ci fosse un senso in tutto ciò.
O meglio, credeva che aumentando il livello di privazione avrebbe saputo ridare un senso a tutto.
Ben aveva una mente analitica, sapeva smontare problemi complessi e risolverli in maniera brillante.
Il perchè non riuscisse a capire una cosa come questa rimaneva un mistero.
Un mistero amaricante.