venerdì 7 gennaio 2011

We are such stuff as dreams are made of

Rilesse per la centesima volta quelle poche righe, mordendosi nervosamente la pellicina delle unghie.
Non si era mai morsa le unghie, erano uno strumento di seduzione, ma la pellicina quella si.
Solamente quand'era nervosa però.
Aveva pensato spesso a lui, senza mai trovare il coraggio di scrivergli o tantomeno di chiamarlo.
Anche perchè il telefono non era mai stato il loro mezzo di comunicazione.
Poche frasi sincopate, strozzate dall'emozione e poi buttare giù.
Sto arrivando, sono in ritardo, scusa.
Oppure non penso che verrò da te, ciao.
E basta.
Molto meglio scrivere, non tradiva l'emozione.
Rilesse ancora una volta e provò un senso di vuoto allo stomaco.
La mail non girava, le parole non facevano presa.
Era troppo melensa, troppo debole.
Era sempre stata bravissima a scrivere, ma di recente qualcosa si era inceppato.
Si sentiva prosciugata, aveva smesso di fare tutte le cose che amava fare.
Il tran tran l'aveva smussata, aveva spuntato la sua lama.
Anche la sua bellezza sembrava essersi appannata, per la strada gli uomini non si giravano più a guardarla.
Si era come rinchiusa dentro di sè, arresa alla quotidianità.
Si sentiva spesso sola, anche in posti dove era circondata di persone.
Ed ogni giorno cresceva dentro di lei la voglia di rivederlo.
Perchè con lui poteva essere se stessa, perchè loro due erano fatti della stessa materia.
Della stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Le era sempre piaciuta quella frase, che descriveva un amore impossibile, contro tutto e contro tutti.
Scritta cinquecento anni fa, ma che calzava a pennello sulla loro storia.
Una storia senza capo nè coda, ma che li aveva divorati.
E più se ne privava e più l'ossessione si ingrandiva.
Aveva sete e pensò che doveva assolutamente sentire la sua voce.
Era sabato sera, le ventitrè e quarantasette.
Lo chiamò lo stesso e attese che il telefono squillasse.
Rispose la segreteria.
Lei riattaccò.
Merda.

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