venerdì 23 gennaio 2009

Victoria ed il commesso di Prada

Victoria non accetta consigli.
Le piace fare di testa sua.
E quando non sa decidersi non vuole che qualcuno dei suoi amici e/o delle persone a lei vicine le diano il minimo suggerimento.
Quando qualcuno ci prova sortisce di solito l'effetto opposto.
A ben pensarci Victoria ha un po' ragione.
Le persone attorno a lei possono darle consigli di parte.
Eventuali simpatie ed interessi personali del consigliere possono giocare un ruolo importante nell'indicazione.
E' venuto il momento di cambiare lavoro/ragazzo/vita?
Ma come si fa ad essere sicuri che ci sta attorno non cerchi di portare "l'acqua al proprio mulino"? Vatti a fidare....
Lei la sa e quindi affronta il problema in maniera scientifica, alla svizzera ( eh si, perchè Victoria è svizzera).
Ogni volta che un dubbio amletico la attanaglia e non sa decidersi va a far shopping in centro.
Echeccentra direte voi...
Echeppalle dirò io.
Un attimo che vi spiego, santa pazienza!
Allora....
Victoria va in centro, ostentando un look da "fashion victim" (roba da mutuo trentennale) ed entra nel negozio di Prada.
Prova un paio di vestiti e con la massima "nonchalance", tra un cambio e l'altro sottopone il dilemma al commesso che la serve.
Lui ignora chi sia lei (il turnover dei commessi di Prada è maggiore di quello degli amanti di Madonna) e lei naturalmente ignora chi sia lui.
E ciononostante Victoria del commesso di Prada si fida ciecamente.
Il suo consiglio è LEGGE.
"Senti io mi sono un po' stufata di quello li (quando comincia a chiamarlo "quello li" non marca benissimo) che ne dici lo mando a casa?"
E la risposta dell'oracolo di Delfi, ehm... del commesso di Prada viene scolpita per sempre nella pietra.
Diventa la nuova linea programmatica quinquennale.
Stravolge i piani dei più fini strateghi.
Il parere del commesso di Prada non si discute, si esegue.
Poco importa che Victoria sappia che il quoziente intellettuale del suo interlocutore è inferiore alla misura delle scarpe che porta ai piedi.
Anzi, è proprio quello il suo bello.
Ovvio.
Intanto nella vita è tutto culo.

martedì 20 gennaio 2009

La boxe ed il sumo

Cosa fareste se tornando a casa inaspettatamente un giorno trovaste la vostra compagna a letto con un altro?
Riempireste entrambi di botte oppure offrireste loro una birra?
Ho pensato parecchie volte a questa situazione e non so darmi una risposta.
Quale forma di violenza sortisce effetti più devastanti, la rabbia folle o la fredda indifferenza?
L'approccio che chiamerò "all'americana" prevede un intervento il più possibile risolutivo nei confronti di qualsiasi problema sorga all'orizzonte.
Ci tirano giù le torri? Invadiamo
La crisi peggiora? Salviamo le banche
Il tipo all'incrocio ci fa il dito? Scendiamo e lo pestiamo
C'è un rapporto diretto tra azione e reazione e questo appare sicuramente logico.
Quello che io contesto non è però la logica, quanto l'efficacia di questo tipo di approccio.
Siamo proprio sicuri che non sia stato un errore invadere l'Iraq?
Siamo proprio sicuri serva continuare a dare soldi a chi ha già dimostrato di essere disonesto, sconsiderato e scarsamente incline a stimare il rischio?
Siamo proprio sicuri che chi ci ha fatto il dito non sia uno psicopatico armato che sta avendo uno dei sui giorni peggiori?
Il cazzotto in faccia molto spesso costa troppo e non paga abbastanza.
Non sarebbe forse meglio fare come i lottatori di sumo ed utilizzare la massa del nostro avversario per far si che lui stesso si porti fuori dal cerchio e perda la partita?
Questo lo chiamo l'approccio "alla giapponese".

Il problema è che si fa prima a dirlo che a farlo.
Anzi, per meglio dire il problema è proprio l'opposto: si fa prima a farlo.
Si fa prima ad invadere.
Si fa prima a stamparne un altro po' ed a darglieli.
Si fa prima a scender e menar le mani.

Aspettare è un'arte.
Aspettare richiede disciplina.
Aspettare è quasi sempre un supplizio.

Non solo.
Aspettare è penalizzato anche a livello dialettico.
Infatti esiste una attività ed una inattività.
Quest'ultima come negazione della prima.
Chiedete a dieci vostri amici se la parola "inattività" abbia una connotazione negativa o positiva e vi potrete considerare fortunati se al massimo due ( di solito i più acuti) indovineranno la risposta giusta.
Si lo so, esiste passivo come contrario di attivo, ma è poco usato e reca in se' un'accezione ancor più negativa.
I turchi ad esempio hanno due parole per definire gli omosessuali.
Pusht e hibnè.
Il pusht è il gay attivo, tutto muscoli e borchie tipo village people.
L'hibnè è il gay passivo, effemminato tipo Lussuria.
Il pusht è socialmente accettato e non c'è nessun problema ad averne uno come amico, mentre l'hibnè viene spesso deriso e ghettizzato.

Il mondo è di quelli che fanno!

Quante volte l'abbiamo sentita questa frase?
E se il mondo in realtà fosse di quelli che aspettano molto e fanno poco?
Di quelli che sono per l' 80% hibnè e per il 20% pusht?

Se chiedete ad un turco, esiste una parola nella loro lingua anche per questo tipo di gay, un po' attivo e un po' passivo.
Ti dicono che li chiamano "antenn", poi ti guardano, fanno una pausa, abbozzano un sorriso e precisano:
"you know.... send and receive!"

domenica 11 gennaio 2009

Your IQ turns me on, darling....

Una testa ben riempita può essere più eccitante di un wonderbra.

venerdì 9 gennaio 2009

Quando l'allievo è pronto il maestro appare

Gli umani non sono bravi nell'apprendere
gli umani non sono bravi nel sapere
gli umani sono solo bravi a fare cose.
Il problema sta nel fatto che nella maggior parte dei casi la cosa che decidono di fare non è quella giusta.
E se poi la reazione al loro errore non è quella che loro pensavano di ottenere, ciò che ne deriva è quasi sempre una deprimente frustrazione.
Con una certa approssimazione circa il 95,47% dei problemi si risolvono da soli, basta lasciarli decantare e non intervenire.
Ma gli umani questo non lo capiscono, non resistono alla tentazione di fare qualcosa di sbagliato.
Quasi sempre la dinamica dell'errore commesso appare lampante a tutti, tranne che naturalmente al diretto interessato.
Il quale testardamente si oppone a qualsiasi tentativo di aiuto.
Come se godesse immensamente nel trovarsi in quella situazione.
Nulla è più noioso che insegnare a qualcuno che non ha la minima voglia di imparare.
Nulla è più noioso di sciupare il proprio fiato dando consigli a qualcuno che sai già non riuscirà a mettere in pratica la corretta strategia.
L'ubris deve essere ridotto ai minimi termini prima di riuscire ad imparare qualcosa.
Ed è solo quando l'allievo si pone in questo modo nei confronti del maestro che ci può essere un trasferimento di conoscenza.
In tutti gli altri casi è solo una gigantesca perdita di tempo.
Ed è il tempo, non il denaro, l'unica ricchezza di cui saremo sempre poveri