martedì 21 luglio 2009

Epifania

Nella vita i nostri percorsi raramente si incrociano.
Ed anche in questo caso poi si separano e seguono il proprio destino, senza sapere se un giorno si incontreranno nuovamente.
Rimangono solo i ricordi, ma sfortunatamente per la stragrande maggioranza di questi non è che ci sia molto da dire a riguardo.
Proprio per questo esiste la televisione.

giovedì 9 luglio 2009

Bipolarità remota

Sono di solito dei tipi precisi.
Si esprimono con proprietà di linguaggio.
Hanno tic spesso impercettibili.
Ti parlano con fare suadente, usando i tempi che usiamo tutti.
Presente, passato prossimo, imperfetto e futuro.
E basta.
Ma poi, all'improvviso, qualcosa cambia.
E' come se un alter ego si impossessasse (carina 'sta parola con sei esse, molto sensuale...) di loro e il mostro del passato remoto cominciasse a spuntare dalle loro labbra.
All'inizio procedono abbastanza spediti, sciorinando tempi desueti ed in ogni caso non comuni alla razza padana, ma poi rallentano e di colpo si inceppano su un verbo dal passato misterioso.
Si dirà funse o fungette?
Colse o cogliette?
Corrugano la fronte, ci pensano un po' su e poi ritornano se stessi con un piccolo gesto di stizza, come se per un secondo fossero stati posseduti dal demonio.
Usare il passato remoto non paga mai.

sabato 6 giugno 2009

Il bisogno è debolezza

Il treno la cullava, mentre guardava il paesaggio scorrere.
Guardò lo schermo del telefonino.
Nessun messaggio.
Ormai era diventata un'ossessione.
Si era imposta di non scrivergli più, di riuscire a stare almeno per cinque giorni senza farsi sentire.
Questo le avrebbe dato la forza di uscire dalla situazione in cui si trovava.
Lui alimentava la sua febbre e dissetava il suo desiderio.
Era una cosa completamente appagante, ma nel contempo anche straziante.
Passava le sue giornate pensando a lui, sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo cambiare.
Che non sarebbe mai riuscita a diventare quello che lui era per lei.
La sua sola ragione di gioia.
Ma poi, improvvisamente, qualcosa cambiò.
E lei smise di scivolare.
Capì che il problema non era lui.
Il problema era lei stessa e il suo rifiuto di sentirsi incapace di cambiare le cose.
Colse da un albero che passava all'orizzonte il segreto dell'amore.
Sorrise.
Poi chiuse gli occhi e si addormentò.

venerdì 1 maggio 2009

Not this time

L'ho scritta ieri notte.
Sono tornato presto, anche se era il mio compleanno.
Presto vuol dire l'una, traduco per te che forse ormai non sai più cosa vuol dire.
Ho acceso il pc e ho guardato il foglio bianco.
Lo sapevo che stamattina mi avresti scritto e le mie dita hanno cominciato a battere sui tasti.
Ci ho messo quattro ore a scriverla, era come se non riuscissi a smettere.
Alle cinque di mattina gli uccellini già cantavano ed io sono andato a dormire.
Mi sentivo svuotato e non avevo più voglia di limare i refusi.
Ho dormito come un sasso.
Nulla fa dormire meglio che la consapevolezza di avere mantenuto una promessa.
Grazie comunque per averci provato.

giovedì 30 aprile 2009

Come bere un bicchier d'acqua

Ormai non ci speravo neanche più.
Mi sembra tutto un sogno.
Un sogno che nella mia mente ho rivisto mille volte.
Un brutto sogno che dura ormai da cinque anni.
Non esiste una sola dannatissima scusa che possa giustificare il mio errore.
Io non vengo da una famiglia povera, avevo un lavoro che mi dava da vivere.
L'unico motivo per cui l'ho fatto è perchè mi andava.
E perchè un passo dopo l'altro si può compiere un lungo cammino.
Specialmente se la strada percorsa è quella in discesa che ti porta verso la perdizione.
Sono nato in Olanda trentaquattro anni fa, ho avuto un'infanzia felice e ho incominciato a lavorare quando avevo vent'anni.
Lavoravo per mio zio, che in pochi anni di duro lavoro aveva messo in piedi un colosso nel campo del lavoro interinale.
Lo adoravo perchè si cambiava spesso occupazione.
Per due mesi mi capitò di lavorare in una serra che coltivava tulipani (sembra quasi uno scherzo, non trovate che questa cosa, la serra di tulipani, sia così maledettamente olandese?) e fu proprio li che conobbi Alain.
Alain era mezzo olandese e mezzo spagnolo e conosceva tutti i segreti della coltivazione in ambiente chiuso.
Una notte finimmo a casa mia completamente ubriachi alle tre di notte, a parlare di donne e a sfondarci di canne.
E fu li che ci venne l'idea.
Piantare sul mio terrazzo una dozzina di piantine di maria, una cosa che da noi in Olanda più o meno equivale ad avere una piantina di basilico sul davanzale da voi in Italia.
Per farla breve le piantine crebbero una bellezza e dopo circa tre mesi io e Alain avevamo un paio di chili di erba di prima categoria.
Ce ne fumammo la metà e l'altra metà la rivendemmo ad un amico che aveva un coffee shop.
A tremilacinquecento euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Siccome l'autunno era alle porte decidemmo di adibire una stanza del mio appartamento a serra.
Mettemmo un telo di plastica sul pavimento e la riempimmo di terra.
Montammo lampade ad alta luminosità e seminammo un centinaio di semi.
Questa volta optammo per l'AK47.
E' un tipo di seme speciale, si chiama così perchè passa dal seme alla pianta adulta e pronta al raccolto in soli 47 giorni.
Dopo circa due mesi ci ritrovammo con circa una dozzina di chili di erba di prima categoria.
Alain aveva il pollice verde.
Ce ne fumammo un chilo e rivendemmo gli altri undici un po' qua un po' la.
Totale trentamila euro in due mesi.
Anzi ventinove, perchè la bolletta della luce 'sto giro fu una mazzata da mille euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Mentre le piantine della terza semina stavano già crescendo rigogliose mi capitò che un tipo a cui stavo vendendo un chilo di erba mi chiedesse se poteva pagarlo con della cocaina. Il rapporto di cambio sarebbe stato uno a otto. Centoventicinque grammi di coca per un chilo d'erba. Non ero interessato, non sapevo a chi venderla e quindi rifiutai. Meglio un bel mucchietto di banconote da venti. Il giorno dopo però un "cliente" mi chiese se avevo altro da vendere, a parte l'erba.
Non so che cosa mi spinse, ma feci la domanda che non va fatta.
"Quanto sei disposto a pagarla?"
"Se è pura posso arrivare a cinquanta al grammo" rispose
Richiamai il mio contatto e comprai per venticinque qualcosa che dopo due ore avevo rivenduto a cinquanta.
Questo qualcosa era un sacchettino da mezzo chilo e io avevo fatto dodicimila euro con due telefonate.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce

Dopo due mesi, svariate telefonate fatte e qualche sacchettino passato di mano ero su un aereo diretto in Venezuela.
Una volta atterrato ci misi tre giorni a trovare il contatto.
Comprai tre chili a tremila euro l'uno, li misi nel doppiofondo di una valigia e tornai a casa.
Rivendetti il tutto per settantacinquemila euro.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Sei mesi dopo "importavo" circa dieci chili al mese, standomene comodamente spaparanzato sul divano di casa.
Il rischio del viaggio lo facevo prendere a qualcun altro.
Mi costava un extra mille al chilo ma vuoi mettere la comodità?
Mi ero ricordato del mio vecchio amico Peter, compagno di liceo che lavorava all'aeroporto di Schipol a scaricare valigie per dieci euro all'ora e l'avevo coinvolto nell'attività.
Lui era sempre stato un tipo senza pretese, di quelli che si lasciano morire senza aver mai combinato nulla.
La valigia arrivava e lui la prendeva prima di far dogana.
La riconosceva perchè da entrambi i lati c'era un adesivo giallo con il logo dello smile.
Io la ritiravo la sera quando Peter tornava dal lavoro e gli allungavo un paio di millini.
Ci facevamo insieme una sniffatina e via in consegna.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.

Me ne sto sul bordo di una piscina nella villa del mio fornitore a Caracas.
Sono qui da solo quattro giorni, ma ho già voglia di tornare a casa.
Dopodomani mia figlia Jennie compie tre anni ed al suo compleanno non posso proprio mancare.
La mia mente è appannata, non sono riuscito a dormire molto negli ultimi giorni.
Continuo a pensare all'ultima spedizione, quattro valigie per un totale di cinquantacinque chili.
Paco mi dice che erano state regolarmente imbarcate, ma a Schipol non era arrivato niente.
Puff, sparite nel nulla!
Non penso sia stato Peter, non sarebbe capace di una cosa del genere.
O forse si?
E naturalmente la perdita e' solo per me.
Una botta da centosessantacinque bigliettoni.
Ora non mi è rimasto granchè, non chiedetemi dove li ho spesi.
Ormai devo far passare attraverso il mio naso almeno quattro grammi di coca al giorno ed il cervello mi sta andando in pappa.
La metà dei miei clienti mi deve soldi.
Alcuni di questi mi devono tanti soldi.
Potrei scrivere un manuale delle scuse che trovano per non pagarmi.
Uno di loro si è pure presentato con la compagna e mi ha detto:
"Non ho da pagarti, ma se vuoi prendi lei."
Non ho neanche risposto, li ho buttati entrambi fuori.
Voglio tornare a casa e voglio smettere con questa vita.
Voglio tornare a coltivare tulipani nella serra di Alain, che mi ha mollato quasi subito, quando ha capito quali intenzioni avevo.
Questa sarà la mia ultima volta.
Questi quindici chili li porto a casa io.
Così questa volta niente giochi di prestigio.
Vado in agenzia e prenoto il biglietto aereo, usando il mio spagnolo stentato.
Il volo diretto per Amsterdam è pieno.
Ne scelgo uno che parte in serata.
Stopover a Milano.
Due ore all'aeroporto Malpensa in attesa della coincidenza che mi porti a casa.
L'importante è che la valigia venga spedita direttamente in Olanda.
Al resto ci pensa Peter.
Non può essere stato lui.
Chiedo alla sorridente operatrice se il bagaglio verrà spedito direttamente o dovrò ritirarlo a Milano.
Lei mi guarda con aria interrogativa.
Non sono sicuro di averlo detto correttamente e per cui ripeto la frase in uno spagnolo che sa più di Leerdammer che di paella.
Lei fa una telefonata, parla veloce e poi mi fa di si con la testa.
La valigia va diretta a casa.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
O quasi.
Avanti veloce, ma solo un po'.

Arrivo a Malpensa la mattina dopo e tutto va storto.
Sudo come se fossi in sauna e mi tremano le mani.
Sono tredici ore che non mi faccio una striscia ed il cervello mi sta esplodendo.
Lo sento bussare alle pareti del mio cranio e chiedermi un po' di sollievo.
Vedo le crepe nel pavimento e cerco di non camminarci sopra per paura di caderci dentro.
Anche se sono a malapena due millimetri.
Paranoie allucinatorie.
Penso ad Alain ed ai tulipani e la cosa mi calma un po'.
Domani lo chiamo, giuro.
Guardo il tapis roulant girare ed aspetto la mia valigia.
La tipa dell'agenzia sarà stata pure carina, ma di sicuro non precisa.
La mia valigia la devo sdoganare qui.
Altro che direttamente in Olanda.
Meglio, forse.
Così non saprò mai se è stato Peter.
Ogni tanto guardo i due omini in fondo vestiti di grigio.
Hanno dei pantaloni buffi, con una strana striscia gialla sul lato dei pantaloni e lo sguardo da topo.
Ogni tanto fermano qualcuno e gli fanno aprire i bagagli.
I prescelti hannno quasi tutti tratti spiccatamente sudamericani.
Io sono alto uno e novanta, biondo e con la classica faccia da olandese buono.
Chi vuoi che mi fermi?
Arriva la mia valigia, la prendo e mi avvio verso di loro.
Sorrido.
Mi sembra che mi guardino, ma forse la mia è solo paranoia.
Tiro dritto verso l'uscita e sono quasi passato quando uno dei due allunga una mano e mi ferma.
Apro la valigia e svuoto il contenuto sul tavolo di fronte a loro.
Biancheria sporca, il mio necessaire, un paio di scarpe da ginnastica.
Guardano annoiati e mi fanno segno che è tutto a posto.
Scatto nervoso verso la valigia che ho appoggiato per terra ma quello coi baffi mi precede.
La solleva prima di me.
O meglio cerca di sollevarla.
Una valigia vuota che pesa diciotto chili non si è mai vista e lui corruga la fronte.
In tre secondi il mondo mi crolla addosso.
Vengo arrestato e mentre mi mettono le manette penso a mia figlia ed al suo compleanno.
Dopo sei mesi vengo condannato a cinque anni e otto mesi per traffico internazionale di stupefacenti.
Nella mia valigia il giudice dice che sono stati rinvenuti 4 chili di cocaina purissima.
Dove siano finiti gli altri undici non me lo chiedete.
Non lo voglio sapere.
Ripenso al baffetto con lo sguardo da topo.
E per fortuna che è andata così, se avessi subito un processo per quindici chili probabilmente avrei preso dieci anni.
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua.
Avanti veloce.
Molto veloce.

Sono passati quattro anni e tre mesi ed eccomi qui, alla mia prima licenza premio.
I primi due giorni da uomo libero.
Stanotte per la prima volta dopo quattro anni dormirò in città, in una casa di proprietà dello stato.
Stanotte per la prima volta dopo quattro anni dormirò senza che un secondino mi svegli ogni tre ore per il controllo di una cella.
Anche se non è quasi mai la mia, fa un casino tale che non svegliarsi è impossibile.
La felicità sta nelle piccole cose.
Tipo dormire ininterrottamente per più di tre ore di fila.
Sono quelle cose che dai per scontate fino a quando non ti vengono tolte.
Ma prima di rientrare a casa devo fare una cosa.
Una cosa che in questi anni mi è mancata più dell'aria che respiro.
Vicino alla mia casa c'è un nuovo fabbricato con una scritta gialla.
Piscina comunale.
Sono cinque anni che non nuoto.
Cinque anni che non provo la fantastica sensazione di galleggiare in un silenzio ovattato.
La voglia di un tuffo mi prende alla gola.
Si, la prima cosa che faccio da uomo libero è proprio una bella nuotata.
Splash!
Come dite voi: facile come bere un bicchier d'acqua
Fermo immagine.

mercoledì 25 marzo 2009

Inter nos

Eva nel giardino dell'Eden si annoiava e per questo motivo andò da Dio e gli chiese:
"Ti prego Dio, dammi un compagno"
"Ma sei proprio sicura Eva? Stiamo così bene io e te da soli..."
"E' vero Dio ma io mi annoio, voglio un compagno, ho bisogno di un uomo..."
"Ok, allora facciamo così, tu vatti a nascondere dietro all'albero delle mele, io ti faccio un uomo, tu salti fuori e poi gli raccontiamo che ti abbiamo creato con una sua costola. Sai, lui sarà così maledettamente egocentrico...."
"A me sta bene, vado subito a nascondermi" rispose Eva
"Aspetta, aspetta, promettimi prima che non glielo dirai mai, questo segreto deve rimanere una cosa tra donna e donna"

Ognuno è artefice della propria fortuna

Adamo nel giardino dell'Eden si annoiava e per questo motivo andò da Dio e gli chiese:
"Ti prego Dio, dammi una compagna, sono disposto a pagare per questo"
"E come la vorresti?" chiese Dio
"La vorrei bella, intelligente, sempre di buon umore e disposta a far sesso con me in qualsiasi momento. Inoltre la vorrei anche comprensiva, altruista e per nulla gelosa."
"Sono un sacco di virtù, fammici pensare... ti costerà un rene ed un occhio"
"Accidenti! E per una costola cosa mi daresti?"

mercoledì 11 marzo 2009

Un posto veramente carino

Lei gli disse: "Questa sera ti voglio portare a cena in un posto molto carino"
Lui ci pensò un attimo e rispose: "Sei sicura che sia aperto? Oggi è lunedì...."
Lei emise un breve sospiro e replicò un po' nervosa: "In quel posto ci sono andata cento volte ed era sempre lunedì"
Lui lasciò cadere l'argomento, ormai ci aveva fatto l'abitudine.
Quando arrivarono davanti al ristorante il cancello era chiuso e un cartello sbiadito dagli anni solennemente recitava: Giorno di Chiusura LUNEDI'.
Lui non proferì parola e a testa bassa si avviò alla macchina.

giovedì 26 febbraio 2009

Feisbuc pipol

Arrivo alla festa che è già tardi.
Sono stato da Saccarina a guardare la partita ed a parlare di cosa farà dopo che avrà trovato il coraggio di mollare il suo lavoro.
Si fa un mazzo per quindici ore al giorno e senza il bonus viene pagato meno di un mezzemaniche qualsiasi che alle sei stacca e se ne va in palestra.
E' depresso.
Ha un sacco di idee e le analizza in maniera precisa, valuta con cura i pro ed i contro.
In fin dei conti lui sa fare quello.
Però gli manca il coraggio di saltare.
Prende tempo e continua ogni giorno a svegliarsi presto per andare a lavorare in una banca che non ama più.
Se solo potesse trovare il coraggio, se solo capisse che il "deal" lo crea lui e gli stessi interlocutori gli darebbero lo stesso ascolto se la banca per cui lavora non ci fosse più.
Le banche al giorno d'oggi non valgono più niente.
Sono senza soldi e una banca senza soldi è come un'auto senza benzina,come una donna senza tette.
Completamente inutile ed anche un po' fastidiosa.
Ha ancora molto da dire, due pagine intere di appunti di cui parlarmi, ma io guardo l'ora e me la squaglio.
Facciamo un'altra volta, intanto nel frattempo lui si guarda gli alluci che spuntano dal trampolino, ma il coraggio di saltare mica lo trova......

Arrivo alla festa che è già l'una.
Mi danno un biglietto IN che verrà sostituito con un biglietto OUT una volta consumato al bar.
Senza OUT non si esce, se per caso hai dimenticato il portafoglio a casa rimani chiuso in discoteca fino a quando muori di inedia.
La fauna è giovane.
Anche troppo.
Oltre la metà, non esagero, oltre la metà dei presenti è impegnata a farsi fotografare dai propri amici.
L'altra metà si riposa dopo la seduta di photo shooting.
Centinaia di minuscole macchine fotografiche flashano le persone in pose plasticose, con sorrisi improbabili, intente in divertimenti sfrenati che durano però solo per il tempo dell'esposizione.
Appena dopo il flash tutti ritornano tristemente a controllare il risultato del loro scatto.
Compiaciuti se sono "venuti bene", delusi se gli occhi sono "venuti rossi" o "chiusi" o il naso "troppo grosso".
Tanti piccoli Avedons alla ricerca dello scatto perfetto.
L'intento è uno solo.
Divertirsi? Macchè.
Ballare? Mica tanto.
Limonare? Anche no.
Sballarsi? Forse dopo.
Prima bisogna farci le foto e poi tutti a casa a metterle su feisbuc.
Che così domani i nostri 2576 amici potranno crepare di invidia nel vedere quanto ci siamo tristemente divertiti.

martedì 10 febbraio 2009

Such a lovely day

In una lussuosa suite del Burj al-Arab, l'uomo passeggiava nervosamente.
Tutto era pronto per l'azione.
Se solo lui avesse impartito il segnale, cento e otto adepti si sarebbero recati nei punti prestabiliti ed avrebbero lanciato i missili Stingers.
Cento e otto, il numero sacro dell'al-Kawthar, la più corta tra le Sure del Corano.
Questa sarebbe stata l'operazione terroristica più importante mai concepita ed attuata.
Al suo confronto l'11 settembre sarebbe sembrato un innocente scherzo di carnevale.
Alle 16 ora di Greenwhich cento e otto aerei da turismo sarebbero stati abbattuti quasi simultaneamente in altrettanti aeroporti sparsi in Europa, Canada, America Centrale, America Latina, Asia e Stati Uniti.
Naturalmente gli Stati Uniti avrebbero avuto un particolare "trattamento di favore" con 54 aeroporti colpiti, poi veniva l'Europa con 27 aeroporti e via dicendo.
Gli aerei sarebbero stati abbattuti nella fase del decollo, appena staccatisi da terra.
Facile come bere un bicchier d'acqua.
L'ora era stata scelta in maniera accurata, onde fare in modo di colpire gli aeroporti di tutto il mondo in una fascia di grande attività aerea.
Infatti in asia sarebbe stata sera, in europa pomeriggio e nel continente americano prima mattina.
La notizia avrebbe impiegato almeno dieci minuti per diffondersi ed il tempo sarebbe stato sufficiente per abbattere tutti gli aerei.
Il piano era stato preparato per tre anni nei minimi particolari, i partecipanti arruolati tra gli affiliati più integrati e nel contempo più fanatici.
Tutti erano pronti al martirio, ma per molti non ce ne sarebbe stato bisogno, potevano semplicemente rincasare dopo essersi disfatti del tubo lanciarazzi.
Arrivare a loro era quasi impossibile, ma anche se questo fosse successo, ciascuno aveva una capsula di cianuro sempre con se.
Ci sarebbero stati oltre diecimila morti e finalmente il mondo avrebbe capito che Al Qaeda era ancora viva.
Mentre i servizi segreti di tutto il mondo lo stavano cercando nelle terre di confine tra il Pakistan e l'Afghanistan, lui se ne stava comodamente alloggiato in uno degli hotel più belli del mondo, con documenti falsi e un pesante trucco al viso che lo rendeva quasi irriconoscibile.
Tra sette minuti Ayman l'avrebbe chiamato, utilizzando un software proprietario a protocollo Voip criptato, attendendo la frase convenuta per dare il via all' operazione.
Mentre aspettava davanti al suo computer portatile il suo sguardo si fissò sul televisore acceso.
Lo speaker della CNN parlava del discorso presidenziale al Congresso.
Di come Obama pensasse fosse di cruciale importanza destinare altri novecento miliardi di dollari al tentativo di salvare le banche e di conseguenza l'intero sistema finanziario e commerciale del pianeta.
Di come il pacchetto di stimolo all'economia fosse l'unica possibilità di salvare il mondo dal collasso commerciale, da un'ulteriore ondata di licenziamenti e da una situazione in cui il malcontento popolare sarebbe salito a livelli incontrollabili.
Guardò il Presidente che parlava alla televisione e sorrise, ben presto - pensò - la crisi economica sarebbe diventata una "minor issue", un qualcosa di non prioritario rispetto all'ondata di morte che avrebbe investito il pianeta.
Ma poi il sorriso scomparve e l'uomo si fermò a pensare.
Il loro attentato avrebbe di sicuro sortito l'effetto sperato, ma non era forse meglio aspettare un momento migliore?
Non era forse che gli odiati Stati Uniti si stessero stringendo il cappio al collo con le loro stesse mani?
Quali erano le possibiltà che un paese affogato nel debito potesse rimanere ancora a capo del mondo nei prossimi anni?
Soprattutto se l'unica cura che sapevano trovare era quello di aggiungere ulteriore debito.
Era proprio il debito eccessivo che aveva originato la crisi.
Stavano cercando di spegnere l'incendio versandoci sopra ancora un po' di benzina.
La fine degli Usa sarebbe stata quella dell'ex Unione Sovietica, il cui potere si era disgregato non a causa di una guerra, ma bensì perchè erano semplicemente finiti i soldi.
Ormai il suo cervello galoppava veloce, più rifletteva e più si convinceva del fatto che sarebbe stato meglio non fare nulla.
Almeno non per il momento.
Quando il laptop prese a squillare, invece di rispondere scrisse veloce sulla tastiera: Not now my friend, I think I'll go for a walk, it's such a lovely day.
Poi chiuse la comunicazione, spense il computer ed uscì dalla stanza.

venerdì 23 gennaio 2009

Victoria ed il commesso di Prada

Victoria non accetta consigli.
Le piace fare di testa sua.
E quando non sa decidersi non vuole che qualcuno dei suoi amici e/o delle persone a lei vicine le diano il minimo suggerimento.
Quando qualcuno ci prova sortisce di solito l'effetto opposto.
A ben pensarci Victoria ha un po' ragione.
Le persone attorno a lei possono darle consigli di parte.
Eventuali simpatie ed interessi personali del consigliere possono giocare un ruolo importante nell'indicazione.
E' venuto il momento di cambiare lavoro/ragazzo/vita?
Ma come si fa ad essere sicuri che ci sta attorno non cerchi di portare "l'acqua al proprio mulino"? Vatti a fidare....
Lei la sa e quindi affronta il problema in maniera scientifica, alla svizzera ( eh si, perchè Victoria è svizzera).
Ogni volta che un dubbio amletico la attanaglia e non sa decidersi va a far shopping in centro.
Echeccentra direte voi...
Echeppalle dirò io.
Un attimo che vi spiego, santa pazienza!
Allora....
Victoria va in centro, ostentando un look da "fashion victim" (roba da mutuo trentennale) ed entra nel negozio di Prada.
Prova un paio di vestiti e con la massima "nonchalance", tra un cambio e l'altro sottopone il dilemma al commesso che la serve.
Lui ignora chi sia lei (il turnover dei commessi di Prada è maggiore di quello degli amanti di Madonna) e lei naturalmente ignora chi sia lui.
E ciononostante Victoria del commesso di Prada si fida ciecamente.
Il suo consiglio è LEGGE.
"Senti io mi sono un po' stufata di quello li (quando comincia a chiamarlo "quello li" non marca benissimo) che ne dici lo mando a casa?"
E la risposta dell'oracolo di Delfi, ehm... del commesso di Prada viene scolpita per sempre nella pietra.
Diventa la nuova linea programmatica quinquennale.
Stravolge i piani dei più fini strateghi.
Il parere del commesso di Prada non si discute, si esegue.
Poco importa che Victoria sappia che il quoziente intellettuale del suo interlocutore è inferiore alla misura delle scarpe che porta ai piedi.
Anzi, è proprio quello il suo bello.
Ovvio.
Intanto nella vita è tutto culo.

martedì 20 gennaio 2009

La boxe ed il sumo

Cosa fareste se tornando a casa inaspettatamente un giorno trovaste la vostra compagna a letto con un altro?
Riempireste entrambi di botte oppure offrireste loro una birra?
Ho pensato parecchie volte a questa situazione e non so darmi una risposta.
Quale forma di violenza sortisce effetti più devastanti, la rabbia folle o la fredda indifferenza?
L'approccio che chiamerò "all'americana" prevede un intervento il più possibile risolutivo nei confronti di qualsiasi problema sorga all'orizzonte.
Ci tirano giù le torri? Invadiamo
La crisi peggiora? Salviamo le banche
Il tipo all'incrocio ci fa il dito? Scendiamo e lo pestiamo
C'è un rapporto diretto tra azione e reazione e questo appare sicuramente logico.
Quello che io contesto non è però la logica, quanto l'efficacia di questo tipo di approccio.
Siamo proprio sicuri che non sia stato un errore invadere l'Iraq?
Siamo proprio sicuri serva continuare a dare soldi a chi ha già dimostrato di essere disonesto, sconsiderato e scarsamente incline a stimare il rischio?
Siamo proprio sicuri che chi ci ha fatto il dito non sia uno psicopatico armato che sta avendo uno dei sui giorni peggiori?
Il cazzotto in faccia molto spesso costa troppo e non paga abbastanza.
Non sarebbe forse meglio fare come i lottatori di sumo ed utilizzare la massa del nostro avversario per far si che lui stesso si porti fuori dal cerchio e perda la partita?
Questo lo chiamo l'approccio "alla giapponese".

Il problema è che si fa prima a dirlo che a farlo.
Anzi, per meglio dire il problema è proprio l'opposto: si fa prima a farlo.
Si fa prima ad invadere.
Si fa prima a stamparne un altro po' ed a darglieli.
Si fa prima a scender e menar le mani.

Aspettare è un'arte.
Aspettare richiede disciplina.
Aspettare è quasi sempre un supplizio.

Non solo.
Aspettare è penalizzato anche a livello dialettico.
Infatti esiste una attività ed una inattività.
Quest'ultima come negazione della prima.
Chiedete a dieci vostri amici se la parola "inattività" abbia una connotazione negativa o positiva e vi potrete considerare fortunati se al massimo due ( di solito i più acuti) indovineranno la risposta giusta.
Si lo so, esiste passivo come contrario di attivo, ma è poco usato e reca in se' un'accezione ancor più negativa.
I turchi ad esempio hanno due parole per definire gli omosessuali.
Pusht e hibnè.
Il pusht è il gay attivo, tutto muscoli e borchie tipo village people.
L'hibnè è il gay passivo, effemminato tipo Lussuria.
Il pusht è socialmente accettato e non c'è nessun problema ad averne uno come amico, mentre l'hibnè viene spesso deriso e ghettizzato.

Il mondo è di quelli che fanno!

Quante volte l'abbiamo sentita questa frase?
E se il mondo in realtà fosse di quelli che aspettano molto e fanno poco?
Di quelli che sono per l' 80% hibnè e per il 20% pusht?

Se chiedete ad un turco, esiste una parola nella loro lingua anche per questo tipo di gay, un po' attivo e un po' passivo.
Ti dicono che li chiamano "antenn", poi ti guardano, fanno una pausa, abbozzano un sorriso e precisano:
"you know.... send and receive!"

domenica 11 gennaio 2009

Your IQ turns me on, darling....

Una testa ben riempita può essere più eccitante di un wonderbra.

venerdì 9 gennaio 2009

Quando l'allievo è pronto il maestro appare

Gli umani non sono bravi nell'apprendere
gli umani non sono bravi nel sapere
gli umani sono solo bravi a fare cose.
Il problema sta nel fatto che nella maggior parte dei casi la cosa che decidono di fare non è quella giusta.
E se poi la reazione al loro errore non è quella che loro pensavano di ottenere, ciò che ne deriva è quasi sempre una deprimente frustrazione.
Con una certa approssimazione circa il 95,47% dei problemi si risolvono da soli, basta lasciarli decantare e non intervenire.
Ma gli umani questo non lo capiscono, non resistono alla tentazione di fare qualcosa di sbagliato.
Quasi sempre la dinamica dell'errore commesso appare lampante a tutti, tranne che naturalmente al diretto interessato.
Il quale testardamente si oppone a qualsiasi tentativo di aiuto.
Come se godesse immensamente nel trovarsi in quella situazione.
Nulla è più noioso che insegnare a qualcuno che non ha la minima voglia di imparare.
Nulla è più noioso di sciupare il proprio fiato dando consigli a qualcuno che sai già non riuscirà a mettere in pratica la corretta strategia.
L'ubris deve essere ridotto ai minimi termini prima di riuscire ad imparare qualcosa.
Ed è solo quando l'allievo si pone in questo modo nei confronti del maestro che ci può essere un trasferimento di conoscenza.
In tutti gli altri casi è solo una gigantesca perdita di tempo.
Ed è il tempo, non il denaro, l'unica ricchezza di cui saremo sempre poveri